Può sembrare controintuitivo, ma è la realtà.
Applicare troppe modifiche in un ristretto lasso di tempo, quando parliamo di advertising, porta spesso a pessimi risultati.
E questo è anche il motivo per cui quando si parla di ADV si descrivono piani tri/semestrali (almeno). Non perché serva più budget, ma perché serve più tempo.
Analizzare un campione di dati troppo ristretto non ci consente di prendere decisioni razionali. Si è spesso vittima di fluttuazioni fisiologiche nei report e di comportamenti che possono non dipendere affatto da ciò che crediamo di aver compreso.
Solo in casi molto specifici – campagne a alto budget o che ottengono volumi giornalieri davvero significativi – è possibile determinare azioni consapevoli.
In tutti gli altri casi si rischia la sovra-ottimizzazione.
Come riconoscere una sovra-ottimizzazione
Come riconoscere dunque azioni di sovra-ottimizzazione per le nostre campagne? Se prendiamo in esame Google AdWords – una delle piattaforme in cui il rischio è maggiore – ecco da dove partire.
Aggiustamenti di offerta multipli
Soprattutto quando prendiamo la mano con gli aggiustamenti di offerta su base oraria, località, dispositivo, elenchi di pubblico e così via è facile perdere la visione globale su come si stia erogando davvero il budget.
Più aggiustamenti in contemporanea, se non tenuti adeguatamente a bada possono portare a comportamenti sulla campagna difficilmente prevedibili.
Sospensione repentina di elementi
Allo stesso modo, tagliare keyword, gruppi di annunci, annunci o intere campagne quando abbiamo l’impressione che queste non portino risultati è un approccio spesso errato.
Una corretta analisi dei risultati di un’attività di marketing che copre (anche) le campagne ADV dovrebbe sempre passare attraverso l’analisi dei modelli di attribuzione. Solo capendo il reale peso di una campagna – o di un gruppo di annunci o keyword – all’interno di una strategia multicanale è possibile decidere se farne a meno.
Semplicemente spegnendo ciò che in AdWords non segna conversioni, ignorando tutto il vasto tema delle conversioni indirette – si rischia un effetto boomerang.
Una variabile per volta
In linea di massima, è sempre bene testare una variabile alla volta. Più ristretto il panorama – più bassi i volumi raggiungibili o il budget a disposizione – più lungo il periodo di test necessario affinché il dato raccolto diventi significativo.
Il che rende decisamente chiaro perché, come accennavo in apertura, per identificare un’architettura di campagna vincente siano necessari diversi mesi.
Testare elementi come:
- diversi formati di annuncio
- l’introduzione di nuove keyword
- il targeting di campagne display
- incrementi o diminuzioni percentuali dell’offerta
- incrementi di budget totali, poi correttamente assorbiti
- modifiche al targeting geografico (con eventuali loro aggiustamenti)
richiede tempo e analisi approfondite, incrociando i dati più “aridi” delle campagne con un contesto fornito in larga parte da Google Analytics.
L’abilità principale del bravo advertiser?
La pazienza, naturalmente!